Del tè non si butta via niente. Il mito del Tè Bancha
Del tè non si butta via niente. Il mito del Tè Bancha
Il mensile Starbene, sull’ultimo numero (dicembre 2020), ha dedicato uno speciale sul tè e gli infusi, intervistando il professor Marco Bertona. Dello speciale, quello che ci ha colpiti maggiormente, è un box dedicato al Tè Bancha, in cui Bertona fa delle dichiarazioni molto interessanti, decisamente contro corrente, che meritano di essere approfondite.
Protagonista indiscusso della cucina macrobiotica – ideata in Giappone negli anni ’50 da George Ohsawa – il Tè Bancha è diventato popolare per le sue proprietà dimagranti e disintossicanti. Vere o presunte?
«Il Tè Bancha non è più salutare delle altre tipologie di tè, né fa scendere rapidamente l’ago della bilancia», avverte il professor Bertona.
«Innanzi tutto il Tè Bancha è di tradizione giapponese ed appartiene alla categoria dei tè verdi. Il termine giapponese Bancha, applicato al tè, implica anche l’idea di un “tè tardivo” e in Giappone, questa tipologia di tè, è ritenuta la meno pregiata, tant’è che è poco considerata dai consumatori nipponici.
Il Tè Bancha trova invece molto consenso nei Paesi occidentali, dove si è diffuso grazie alla dieta macrobiotica.
La tipologia di Bancha più consumata qui in occidente è quella prodotta dalle foglie di tè raccolte nel periodo autunnale, quindi il raccolto più tardivo, l’ultimo dell’anno. Queste foglie sono molto fibrose, spesso provenienti dai tagli delle potature, e il tè prodotto non offre quelle esperienze sensoriali – in particolare quelle aromatiche – che solo i tè giapponesi di qualità, quelli prodotti con i teneri germogli dei raccolti primaverili, sanno esprimere.
Oltre al Bancha, un altro tè giapponese molto diffuso negli ambienti macrobiotici e salutistici in generale, è il Kukicha. Questo tè è composto unicamente da rametti, piccioli, venature, rotture di foglie, ossia i residui di produzione di altri tè, ma anche del restante delle potature.
Sia il Bancha sia il Kukicha si possono trovare in commercio anche nella versione tostata. Questa tostatura, oltre a conferire le note aromatiche tipiche, ha la funzione di coprire le sensazioni amare e astringenti dei tè in questione, rendendo così più piacevole l’esperienza sensoriale per il consumatore. In questo caso i tè prendono il nome di Hojicha».
Fonti: AssoTè & Infusi Italia