Tè e tempo: incontro con il tè Pu’er
Articolo pubblicato su Sloweek, 10/12/2001 del sito sloweb.slowfood.it
Il fatto che il tè debba essere consumato fresco è cosa risaputa e pretesa dai cultori della bevanda. Ciononostante, spesso nei negozi e nelle case da tè vediamo disposti in bella mostra sulle scansie enormi caddy ricolmi di tè, i cui pedigree non danno alcuna indicazione sul periodo o addirittura sull’anno di raccolta.
Se possiamo in una certa misura permettere una deroga a tale principio per quanto concerne il tè nero, in quanto essendo stato fatto completamente ossidare in fase di lavorazione teme meno le ingiurie del tempo, non possiamo fare altrettanto con il tè verde. Quale vero e proprio “novello” tra i tè, va di norma consumato entro l’anno di produzione, adottando tutti gli accorgimenti che possano in qualche misura rallentare il suo inevitabile processo di invecchiamento e perdita di freschezza.
In Giappone, in Corea e nella maggior parte della Cina, dove i tè verdi rappresentano la tipologia più consumata, in passato come oggi la differenziazione tra “tè nuovo” e “tè vecchio” ha una notevole rilevanza. Persino a livello commerciale, l’arrivo del tè nuovo sul mercato segna il definitivo deprezzamento del tè dell’anno precedente.
Tuttavia, ogni buona regola trova le sue eccezioni. Nel caso di un alimento che si presenta in così tante e differenziate forme come il tè, a fronte di un principio riconosciuto e accettato, cioè che la freschezza sia sinonimo di qualità, c’è chi afferma esattamente il contrario. Per parlare di ciò ci spostiamo ad Hong Kong, il “porto profumato” che si affaccia sul mar della Cina meridionale e centro nevralgico degli scambi commerciali dell’Asia orientale.
Sebbene Hong Kong non sia certamente rinomata per la produzione del tè, esiste tuttavia un considerevole consumo di tale bevanda. Tra le varietà di tè più bevute nella ex colonia britannica, oltre al comune tè al gelsomino, troviamo degli ottimi tè wulong e bianchi prodotti nella contigua provincia del Guangdong e in quella del Fujian. Tuttavia, gli abitanti di Hong Kong hanno sviluppato una predilezione per una tipologia di tè particolare che cresce nella lontana provincia dello Yunnan e che lascia di norma assai perplessi e stupiti tutti coloro (cinesi compresi) che hanno l’occasione di assaggiarlo per la prima volta: il tè Pu’er. Questo tè ha un colore, un profumo e un sapore che sanno indiscutibilmente “di vecchio”.
Con il termine Pu’er (in cantonese P’ou-lei) si designa una famiglia molto ampia di tè che comprende diverse varietà in foglie sfuse o, più tipicamente, compresse in mattonelle o in pani. La materia prima è rappresentata dalle foglie raccolte dagli alberi di tè della varietà a foglia larga che crescono sugli altipiani delle regioni di Simao e Xishuang Banna, nella parte più meridionale della provincia dello Yunnan, al confine con Laos e Birmania. Questa viene considerata il centro dell’area da cui ha origine la stessa pianta del tè e attualmente vi vivono ancora numerosi alberi di tè ad alto fusto pluricentenari, il più vecchio dei quali si stima abbia la veneranda età di 1700 anni.
La prima parte del procedimento di lavorazione dei Pu’er ricalca quella dei tè verdi e comprende le fasi di stabilizzazione (trattamento ad alta temperatura), stropicciatura ed essiccazione al sole. Il prodotto semilavorato viene poi sottoposto a cottura a vapore seguita da una foggiatura con compressione in stampi e seguente asciugatura all’aria. La pezzatura dei pani varia moltissimo per dimensione a forma, va dalle mattonelle di foggia quadrata o rettangolare alle focacce di forma discoidale, dai piccolissimi pezzi di Tuocha (a forma di ciotola) di pochi grammi, per arrivare fino a masse di tè compresso di alcune decine di chilogrammi in forma di zucca o di tronco d’albero.
Anche se oggi lo si può considerare una rarità, anticamente il tè compresso rappresentava la forma più comune in cui veniva confezionato il tè in Cina. In seguito, con l’affermarsi del consumo di quello in foglie sfuse, il tè in pani continuò ad essere prodotto nella parte sud occidentale del paese, quasi esclusivamente come merce di scambio per il commercio di frontiera con i mongoli, i tibetani e le altre popolazioni che vivevano ai margini dell’impero. Il tè Pu’er, tuttavia, veniva apprezzato anche all’interno del paese per le sue riconosciute virtù medicinali. Le farmacopee tradizionali attribuiscono a questo tè proprietà eupeptiche – quali aiutare la digestione e dare sollievo allo stomaco – di sciogliere il catarro e favorire la circolazione dei fluidi all’interno del corpo, nonché di essere il miglior rimedio per smaltire i fumi dell’alcool dopo una sbornia. A queste proprietà, le moderne ricerche mediche sembrano aggiungere anche quella di eliminare i grassi e ridurre il tasso di colesterolo.
Nel lungo viaggio che portava le carovane dalla prefettura di Pu’er verso le diverse destinazioni, le mattonelle di tè subivano una naturale trasformazione favorita dal clima particolarmente caldo e umido di quell’area. Forse è da questo che ha origine il particolare “gusto invecchiato” dato come acquisito dagli estimatori del Pu’er e divenuto uno dei suoi tratti caratteristici, così come il processo di stagionatura funzionale all’ottenimento di tale sapore.
Durante l’invecchiamento – chiamato post-fermentazione, per distinguerla dalla fermentazione a cui sono sottoposte le foglie fresche nella produzione dei tè wulong e neri – per effetto di processi di ossidazione e fermentazione, le mattonelle di tè passano dal loro originario colore tendente al verde ad uno marrone-nero tendente al grigio, dalle quali si ricava un infuso di colore marrone scuro estremamente carico e velato. Le note erbacee del tè verde lasciano lentamente il posto ad aromi terziari molto complessi con sentori di muschio e terra, mentre il sapore eccessivamente spigoloso, astringente e amaro che caratterizza le foglie del Pu’er fresco si ammorbidisce sempre più, acquisendo dolcezza e corpo. Oltretutto, il tè – che nella medicina cinese viene classificato come cibo che toglie calore al corpo – con la stagionatura perde la sua carica raffreddante, risultando particolarmente adatto alle persone anziane e deboli di stomaco. Quindi sembrerebbe valere la regola che: più vecchio diventa e meglio è!
Tradizionalmente la stagionatura dei Pu’er viene eseguita lasciando riposare il tè in luoghi asciutti e ventilati per diversi anni. La regola vorrebbe che fossero almeno venti, riservando il titolo di prodotto d’eccezione solo a quelli che superano i quaranta. Tuttavia, tempi così lunghi mal si sposano con le esigenze del mercato e per questo motivo si è data vita ad una tecnica di “maturazione” artificiale per cercare di ottenere in tempi brevi un tè con le caratteristiche di aroma e gusto sopra descritte. Questa consiste nell’inumidire e sistemare i pani di tè freschi in un ambiente chiuso con temperature elevate per accelerare i processi fermatativi. Il risultato finale non è necessariamente inferiore a quello dei tè invecchiati naturalmente: alla fine del trattamento il tè perde il suo gusto astringente e diviene dolce e morbido, mentre il profumo assume il tanto apprezzato carattere vetusto – anche se a volte con eccessive note di stantio o ammuffito.
Secondo i puristi del Pu’er, la differenza principale tra i pani di tè “crudi” (ovvero non trattati) stagionati naturalmente e quelli “maturati” artificialmente sta nella diversa attitudine all’evoluzione del gusto nel corso del tempo. Il sapore di tè non trattato diventerà sempre più dolce e pieno con il passare degli anni, continuando lentamente a trasformarsi grazie ad un processo di invecchiamento naturale. I tè “maturati”, invece, sono subito pronti da bere ma si evolvono solo fino ad un certo punto e poi non godono di alcun beneficio da una ulteriore stagionatura.
Mentre ad Hong Kong il consumo di massa dei tè Pu’er gravita attorno ai ristoranti specializzati nella preparazione degli squisiti dimsum e altre specialità della cucina cantonese, ed è rappresentato principalmente da tè “maturati” di bassa qualità, sovente serviti mescolati con fiori di crisantemo bianco dolce di Hangzhou, i tè di qualità superiore e invecchiati naturalmente sono disponibili nei numerosi negozi specializzati o nelle case dell’Arte del Tè. In questi locali è spesso possibile vedere – vicino al frigorifero per i tè verdi! – grossi quantitativi di pani di Pu’er avvolti nei loro originali imballi di foglie di bambù, lasciati per anni a prendere polvere sulle scansie e a impreziosirsi sempre più.
Questa particolare passione per il Pu’er degli hongkonghesi ha già contagiato gli appassionati del tè di Taiwan e degli altri paesi dell’area. Inoltre, è curioso notare come la mania per l’invecchiamento tipica del Pu’er si stia diffondendo anche ad altre varietà. Nelle case da tè e tra gli appassionati cresce infatti l’interesse per il Dahongpao, lo Shuixian e gli altri tè di rupe (yancha) dei monti Wuyi fatti invecchiare. Si tratta in questo caso di tè wulong a tostatura forte prodotti nella provincia del Fujian, il cui originario carattere aspro e forte sembra smussarsi e migliorare dopo una stagionatura di alcuni anni.
Time for tea: an encounter with Pu’er tea
10 Dec 01 – Livio Zanini
It is a well-known fact that tea should be drunk fresh, and lovers of the drink insist on respecting this. However shops selling tea often display huge caddies on the shelves, brimming with tea but with no indication of the season, or even the year, inwhich it was harvested.
Although an exception can, to some extent, be made in the case of black tea, which has undergone oxidation during the production process and therefore lasts longer, the same does not apply to green tea. This type of tea is usually consumed in the year of production, and all possible means are used to impede the inevitable ageing process which makes it stale.
Green tea is the most widely consumed type of tea in Japan, Korea and most of China, and the difference between “old” and “new” teas is just as important now as it was in the past. In trade, the arrival of “new” tea on the market marks the depreciation of the previous year’s tea.
However there are exceptions to every rule and tea is a commodity that comes in many different types and forms. In fact, with regard to the recognised precept that freshness equals quality, there are those who state the opposite. Let’s take a look at Hong Kong, the “perfumed port” on the south China sea, and important centre of eastern Asian trade.
Hong Kong is definitely not known for tea production, but a great deal of it is drunk there. Apart from the widely used jasmine tea, favourite varieties of tea in the ex-British colony include the excellent wulong (oolong) and white teas grown in the neighbouring Guangdong province, and in the province of Fujian. But Hong Kong residents have become especially fond of a type of tea grown in the far-off province of Yunnan – Pu’er tea. This type of tea astonishes everyone who tries it, including the Chinese, because its colour, aroma and flavour are definitely “old”.
The term Pu’er (P’ou-lei in Cantonese) denotes a large family of teas including loose leaf varieties and (more typically) those compressed into bricks or cakes. The leaves are picked from large-leaved tea plants growing on the uplands of Simao and Xishuang Banna in the south of Yunnan, on the border with Laos and Burma. This is believed to be the area where the tea plant first originated and many ancient, tall tea trees still grow there (the oldest is estimated to be 1700 years old).
The Pu’er production process is initially the same as that of green tea, including fixation (treatment at high temperatures), rolling and sun drying. The semi-processed product is then steamed and shaped in moulds, and air-dried. The cakes vary greatly in size and shape, from square or rectangular bricks to round flat loaves, from the small bowl-shaped Tuocha (weighing only a few grams) to huge masses of compressed tea weighing dozens of kilograms, shaped like a pumpkin or tree-trunk.
Although it is something of a rarity today, compressed tea used to be the most commonly-used form in ancient China. As drinking loose leaf tea became more popular, cakes of compressed tea were still made in the south west of the country, almost exclusively for trade with Mongolia, Tibet and other nations on the borders of the empire. Pu’er tea was also drunk China itself, due to its recognised medicinal properties. Traditional pharmacopoeias attribute eupeptic properties to this type of tea (aiding digestion and relieving stomach trouble) as well as claiming it can loosen catarrh, favour circulation of bodily fluids and help with a hangover from over-indulgence in alcohol. Modern medicine also adds the properties of removing fat and reducing cholesterol.
The long journey that took the convoys from Pu’er to their various destinations, the warm, damp climates caused the cakes of tea to undergo a natural transformation which may have been the original cause of its now-typical “aged” flavour, and the functional maturing process now adopted to obtain the same flavour.
During ageing (known as post-fermentation, as distinct from the fermentation undergone by fresh leaves in the production process of black and wulong tea) – resulting from the oxidation and fermentation processes – the original green colour of the tea changes to a dark greyish brown, and the drink itself is a deep, hazy dark brown in colour. Green tea grassy fragrance give way to complex, mature aromas with hints of musk and earth, while the rough, bitter and astringent flavour typical of fresh Pu’er tea leaves is mellowed and becomes sweeter and more full-bodied. Chinese medicine claims that tea removes heat from the body, while ageing actually reduces its cooling properties and it is therefore especially suited to elderly people and those with a delicate stomach. “The older the better” would certainly seem to hold good in this case.
Pu’er tea is traditionally matured in a dry, airy place for several years. According to the guidelines it should be aged for at least twenty years, and only tea aged for over forty years would merit the title of an “exceptional” product. Unfortunately such long ageing periods do not meet the demands of the market, and therefore an artificial ageing technique has been invented to obtain tea with the aroma and flavour characteristics described above, in a much shorter time. The technique consists of wetting the cakes of fresh tea and leaving them in a closed room at a high temperature in order to accelerate the fermentation process. The final result is not necessarily inferior to that of natural ageing: at the end of the treatment the tea loses its astringent flavours and becomes sweet and mellow, and the aromas become appreciably “old”, although they may sometimes be excessively musty or mouldy.
Pu’er purists say that the main difference between “raw” (untreated) cakes of tea, which have been naturally aged, and those “ripened” artificially consists in the differing disposition to flavour development over time. The flavour of untreated tea becomes sweeter and fuller as the years pass and continues to change with natural ageing. Artificially aged teas are ready to drink but only develop to a certain extent, after which further maturing serves no useful purpose.
In Hong Kong Pu’er tea is mainly consumed in restaurants specialising in the preparation of dimsum and other Cantonese delicacies, and low quality, artificially aged tea is usually used, often blended with sweet white chrysanthemum flowers from Hangzhou. Higher quality tea that has been aged naturally is available in many specialised shops or in the Tea Art Houses. Here you often see large quantities of cakes of Pu’er tea, wrapped in their original bamboo leaf packaging, left for years to improve while they gather dust on the shelves.
This particular passion for Pu’er in Hong Kong has spread to tea lovers in Taiwan and other countries in the region. It is curious to note that the mania for ageing Pu’er in the typical way is now extending to other varieties. Tea houses and tea lovers are becoming more interested in aged “rock” teas (yancha) from the Wuyi mountains, such as Dahongpao and Shiuxian. These deep toasted wulong teas are made in the province of Fujian and their original strong and pungent character seems to be softened and improved by a few years’ ageing.
Fonte: Associazione Italiana Cultura del Tè, link all’articolo originale