Recensioni web su bar, sale da Tè e ristoranti: il diritto alla critica prevale sul diritto all’oblio
MILANO – Il diritto all’oblio su internet è da tempo oggetto di dibattito e investe complesse problematiche di ordine giuridico ed etico.
Come va interpretato quando riguarda le recensioni di bar, sale da Tè e altri esercizi commerciali postate sui social? È possibile pretendere di far rimuovere i commenti negativi? Un articolo pubblicato mercoledì 27 febbraio su Repubblica, citato in un comunicato Fipe, riferisce di due decisioni del tribunale di Roma, destinate a costituire un importante precedente. Esse stabiliscono infatti che sulle piattaforme prevale l’interesse dell’utente a essere informato. Vi proponiamo di seguito il testo dell’articolo, a firma di Beniamino Pagliaro.
Il diritto all’oblio su internet non può valere per un negozio, un ristorante o un professionista che offra un servizio al pubblico. Due decisioni del Tribunale di Roma disegnano un precedente significativo nell’epoca digitale, in cui su internet siamo abituati a leggere le opinioni di altri utenti su un bene o un servizio. Prima di andare a cena fuori o di scegliere un architetto. I servizi di recensioni in rete hanno diritto di esistere a prescindere dalla volontà di chi viene recensito. Perché sulla possibile contrarietà del gestore dell’esercizio prevale il diritto di critica degli utenti. Le recensioni possono anche essere negative: conta di più l’interesse generale che quello del singolo.
Un “ritocco” alla recensione
Il caso che offre la notizia, con l’ironia semplice della cronaca, scaturisce da un ricorso di un chirurgo plastico di Roma che voleva fare un ritocco alla propria scheda su Google My Business, il servizio del motore di ricerca dove gli utenti possono recensire varie attività, da un negozio a uno studio medico. Accanto a molte recensioni positive per il lavoro del chirurgo, ce n’erano infatti alcune – quattro – piuttosto critiche, che sconsigliavano agli utenti di affidarsi al professionista. Il chirurgo ha dunque fatto causa a Google, chiedendo alla società di rimuovere immediatamente la propria scheda dai risultati di ricerca, o almeno di cancellare i commenti negativi. E ancora, di far sparire qualsiasi futuro commento negativo nel giro di 24 ore dal momento della pubblicazione.
Così la decisione del tribunale
Ma la diciottesima sezione civile del Tribunale di Roma ha respinto la richiesta del chirurgo, condannandolo in primo grado al pagamento delle spese legali. La vittoria di Google, assistita dallo studio legale Hogan Lovells, costituisce un precedente significativo per decine di servizi online e milioni di esercenti o professionisti italiani che ogni giorno vengono recensiti, da Tripadvisor a Amazon alle pagine My Business di Google.
La decisione, pur senza citare dati di mercato e richiamando invece principi chiave sanciti dalla costituzione, come libertà di espressione e libertà d’impresa, sembra però riconoscere il cambiamento in atto nella società. Varie ricerche di commercio concordano nello spiegare che più di 9 consumatori su 10 leggono le recensioni online prima di effettuare un acquisto, sia in un negozio fisico che in rete.
Secondo il giudice, rimuovere questa funzione non è giusto: “Il diritto di critica può essere esercitato anche in modo graffiante e con toni aspri”, si legge nella decisione. Dunque sia la creazione di una scheda con le informazioni, sia le recensioni, negative o positive, sono legittime. Chi offre un servizio al pubblico deve accettare le critiche, dice il giudice, e Google non deve filtrare i contenuti degli utenti.
Il principio è sancito
Il significato della decisione non farà gioire gli esercenti che contestano le logiche dei siti di recensioni come +Tripadvisor. Ogni servizio ha le sue regole e ogni piattaforma può migliorare la qualità dei commenti, per esempio eliminando le recensioni a pagamento. Ma il principio è sancito: la Corte di giustizia europea ha istituito nei fatti il diritto all’oblio per tutelare il passato dei cittadini in modo proporzionato. Il ragionamento vale per il cittadino, non per un negozio.
Beniamino Pagliaro
Fonte: Repubblica.it