Il Tè insanguinato dell’Assam
Il tè è il prodotto più famoso e più esportato dall’Assam, uno degli stati che formano la propaggine nord-orientale dell’India, chiusa tra il Bangladesh, la Birmania e la Cina. È un tè nero, dal sapore corposo e dalle foglie brillanti; è coltivato a livello del mare nella verdissima pianura del Brahmaputra. Ma in quelle foglioline aromatiche c’è qualcosa di molto amaro: lo dice la cronaca di questi giorni dall’Assam, dove sabato scorso una manifestazione di migliaia di «tribali» si è conclusa con la morte di una persona.
Per capire cosa c’entrano i tribali con il tè bisogna fare un passo indietro di circa 150 anni.
La coltivazione del tè su larga scala risale agli anni ’40 dell’800, quando i britannici, decisi a mettersi in proprio nella coltivazione del tè (quasi tutto il tè commercializzato in Europa a quell’epoca proveniva dalle piantagioni cinesi!), necessitavano di manodopera a basso costo per l’avvio del loro nuovo business.
Per questo serviva naturalmente molta manodopera e i britannici hanno portato in Assam braccianti dal Bihar, giù nella pianura del Gange, e dall’Orissa affacciato sul golfo del Bengala. I braccianti si spostavano con le famiglie, interi villaggi formati da comunità Munda, Oran, Gond, Santhal: ossia etnie native, quelle che in India sono definite «tribali», o adivasi.
Da quella migrazione è passato oltre un secolo e mezzo. I colonizzatori sono partiti ma in Assam sono rimaste le piantagioni di tè, e anche i discendenti di quei braccianti.
Sono loro che sabato scorso sono scesi per le strade di Guwahati, la principale città dello stato, per rivendicare lo status di «tribù registrate». Lo stato indiano registra un certo numero di popolazioni native (scheduled tribes), e un certo numero di caste basse o fuoricasta (scheduled castes), come gruppi «svantaggiati» che hanno diritto a discriminazioni positive, per esempio posti nel pubblico impiego o accesso all’università.
Le «tribù del tè» sono chiamate adivasi da tutti, ma non dalla legge: così non ne hanno i benefici.
La manifestazione di sabato è finita nel sangue, con un adivasi morto e circa 250 feriti. Certo la dimostrazione, indetta dalla All-Adivasi Students Association dell’Assam (Aasaa), era partita con grande rabbia. C’erano circa 4.000 persone, ma non era autorizzata; i manifestanti hanno forzato i cordoni di polizia e hanno rotto un po’ di vetrine. La polizia ha disperso la folla a colpi di lathi, il bastone di bambù.
È allora che una folla di cittadini si è scatenata sui manifestanti in fuga, con mazze di ferro e pietre. Le tv hanno mostrato scene selvagge, gruppi di uomini che si accaniscono contro poveretti a terra, facce sfigurate dai colpi, una donna trascinata per un braccio.
Violenza di teppaglie: le tv però hanno anche mostrato la polizia che sta a guardare. Una donna è stata spogliata nuda da tre giovani che poi si sono divertiti a fotografarla con i telefonini mentre fuggiva terrorizzata: anche queste immagini sono state trasmesse dalla tv, due giorni dopo (i tre sono stati arrestati).
Violenza chiama violenza. Per protestare contro l’attacco di sabato, lunedì l’assocazione degli studenti adivasi ha proclamato un bandh, sciopero e blocco totale. E per farlo rispettare, bande di giovani hanno attaccato e ucciso due uomini che circolavano per strada sulle loro macchine. Lo sciopero ha avuto un impatto nelle regioni di coltivazione del tè, ed è là che sono avvenuti i due incidenti.
Sembra la cronaca di una guerra: guerra di casta, o etnica, e di classe. La battaglia degli stud enti adivasi dell’Assam è sostenuta dal Bharatiya Janata Party, (Partito nazionalista indiano, Bjp), la destra nazionalista che si richiama a un’ideologia di superiorità hindu sulle altre componenti della multiculturalissima India. Sta di fatto che i tribali sono circa il 6% dei 26 milioni di cittadini del’Assam, e restano discriminati e isolati. Ieri il ministero dell’interno di New Delhi ha ribadito che le «tribù del tè» non saranno riconosciute scheduled tribes, senz’altra ragione se non che la loro domanda era già stata respinta nel 1965. La guerra di casta e di classe continuerà.