Alla ricerca della Passiflora perduta – Erbe Infusionali
Una conoscenza “perduta”, una casualità, un testo del 1600 non disponibile al pubblico e mai diffuso.. insomma Simone Ambrogio nei panni di Indiana Jones
Due settimane fa, passeggiavo per le strade sterrate che costeggiano casa e ammiravo i fiori che la natura aveva deciso di far sbocciare in quei giorni. Papaveri rossi facevano, ogni tanto, capolino qua e là, con il loro colore acceso, donando all’ambiente, quel tratto scarlatto che interrompeva, per un attimo, la distesa verde che si prospettava davanti ai miei occhi.
Ad un tratto, appoggiata ad un muretto di cemento che costeggia la strada, vidi una pianta, che non avevo mai visto dal vivo. Assomigliava all’edera, ma no, era troppo diversa, e poi con quelle sue foglie allungate, non poteva certo essere una sua parente. Per lo più, si vedevano dei cirri che uscivano dalle ascelle delle foglie, che servivano per far aggrappare la pianta al muretto, e l’edera non li ha.
Nascosti in mezzo alle numerose foglie, però, si potevano ammirare i suoi fiori, che subito mi hanno permesso di capire quale meraviglioso essere vivente avevo di fronte: la passiflora.
A dire il vero, conoscevo abbastanza bene gli scopi per cui veniva usata questa pianta oggi, ma la mia conoscenza in materia era alquanto limitata, quindi, dopo aver scattato le foto di rito, tornai a casa, iniziando a cercare qualche informazione su di lei. Prima di avventurarmi nei libri, decisi di controllare le informazioni che circolavano su internet, notando immediatamente che erano spesso il copia-incolla tra l’uno e l’altro, in particolare per quanto riguardava la storia di questa pianta. Bisognava andare alla fonte bibliografica ed è qui che inizia la nostra storia. Se siete curiosi di conoscere quale passato si nasconde dietro a questa misteriosa pianta esotica, rimanete qui, perché ne varrà la pena.
La nostra avventura inizia con un trattato storico, uno dei tanti che sono stati scritti, voi penserete, ma quello che ho per le mani non è come tutti gli altri.
Ci troviamo nel 1610. Il 7 gennaio Galileo ha osservato per la prima volta i satelliti di Giove, scoprendo Callisto, la terza più grande luna del Sistema Solare, e qualche giorno dopo ne scoprirà un’altra, Ganimede. Il 18 luglio, sulla spiaggia di Porto Ercole, se n’è andato uno dei più grandi pittori italiani, Caravaggio, probabilmente a causa della malaria. Per la nostra storia, però, ci dobbiamo spostare a Roma, nella casa di Giacomo Bosio, membro dell’Ordine dei Cavalieri Ospitalieri, uno storico di professione. Nato nel 1544 a Chivasso, in Piemonte, si trasferisce a Roma nel 1587 e qui inizia a scrivere la storia del suo Ordine. Il 1° settembre 1610 consegna alle stampe un trattato storico dal titolo “La Trionfante e Gloriosa Croce”, ben 846 pagine dedicate al simbolo fondante del Cristianesimo. Ora, fin qui, potrà sembrare tutto molto interessante, ma di una pianta non se ne vede l’ombra, e l’opera non sembra certo un trattato di botanica. In effetti avreste ragione, ma se aspettate qualche riga, lo scoprirete. Mentre Bosio si accingeva a scrivere il suo trattato, ricevette la visita del Reverendo Padre Frat’ Emmanuello de Villegas il quale, gli portò il disegno di un fiore mai visto prima, che nasce nelle Indie del Perù e nella nuova Spagna (territorio coloniale spagnolo che si estendeva dagli odierni Stati Uniti centro-occidentali fino all’America centrale). Bosio lo descrive come il più meraviglioso e stupendo fiore che si sia mai visto, e che si possa mai vedere. Gli spagnoli lo chiamavano La Flor de las cinco llagas, ossia “Il fiore delle cinque piaghe”, mentre il frutto che da esso derivava era chiamato “Granadillo”, anche se oggi è conosciuto come “Granadilla”.
Nelle pagine successive, vengono riportate quelle che sono le caratteristiche della pianta; viene detto infatti che non ha la forza di reggersi da sola, ma e appoggiata ad un albero o un palo, in breve tempo si adegua e si prolunga verso la cima con i suoi “vincigli”, ossia i viticci. (foto *1)
Quando l’uomo scopre qualcosa di nuovo, è normale provare ad accostare la novità ad un qualcosa che già conosce. Dopo aver raccontato, infatti, come questa pianta rimane in piedi, l’autore si rivolge al fiore, iniziando da ciò che si vede all’esterno, ossia i sepali (foglie modificate che tutte insieme formano il calice del fiore, ovvero quella foglioline esterne, generalmente verdi, che hanno lo scopo di proteggere il fiore), e li compara a quelli della rosa. (foto *2)
Come potete vedere, nell’ultima frase che ho riportato, viene fatto riferimento ai flagelli utilizzati contro Gesù durante la Passione, e questo è solo il primo dei riferimenti che vedremo di qui a poco. Da questo punto in poi, infatti, inizia la descrizione delle caratteristiche di questo fiore:
Al centro si erge una struttura cilindrica, che porta in cima a sé l’ovario. I botanici la chiamano androginoforo, ovvero una parte del fiore che sorregge l’apparato maschile e femminile. Al di sopra, come abbiamo detto, è presente l’ovario, che porta con sé tre stili di colore rosso-violaceo, che terminano con altrettanti stigmi (parti terminali dell’apparato femminile, dalle quali entrano i pollini). Come potrete leggere voi stessi, essa è stata paragonata alla Colonna alla quale Gesù fu percosso, mentre i 3 “rametti in triangolo”, come vengono chiamati, rappresentano i chiodi con la quale Egli venne crocifisso. (foto *3)
Infine, per concludere questa descrizione, mancano ancora i filamenti metà bianchi e blu, che stanno alla base dell’androginoforo, i quali vengono accostati alla corona di spine, e gli stami che accennano alla cinque Ferite che Gesù ricevette durante il Calvario. È infatti per questo motivo, che in spagnolo la pianta si chiama “Il fiore delle cinque ferite”.
Una volta terminata la descrizione, l’autore dirige la sua attenzione verso il frutto. Scrive, infatti, che con il tempo la parte centrale del fiore “si va ingrossando, e si converte in un frutto”, il Granadillo. (foto *4)
Quest’ ultimo, cresce della “grandezza di un uovo d’oca e più” e “quando è maturo si mostra di color giallo, tutto pinticchiato di alcune macchie verdi”. All’interno si può trovare un liquore di un “soavissimo odore”, che ricorda il muschio e l’ambra. Chi voleva cibarsene, poteva rompere il frutto, oppure, tagliandone la punta, lo si poteva bere come se fosse un uovo. A questo punto, cosa molto importante per chi studia le piante officinali, l’autore riporta quelli che sono gli effetti di questo frutto: “bevuto conforta lo stomaco, aiuta la digestione, ed è di buono e sano nutrimento”. (foto *5)
Le foglie della pianta, che qui vengono chiamate “frondi”, hanno la forma di un ferro di Picca, o di lancia, in riferimento, ovviamente, a quella usata per trafiggere il costato dopo la crocifissione. A questo punto, viene riportato che dopo il tramonto (foto *6)
del sole, il fiore si richiude nelle “5 frondi”, ovvero i sepali, per poi sbocciare al mattino.
Chi tra di voi ha un occhio attento, potrà aver notato che sullo sfondo delle parti originali del testo da me riportato, si può intavedere un disegno, ebbene, è proprio così. Nella pagina successiva infatti, la prima volta che lessi queste pagine, trovai, con mia profonda sorpresa, ciò che vi sto per mostrare. Dopo quanto scritto in questo trattato, questa pianta verrà importata nel nostro Paese, e si iniziò a coltivarla a Roma, in virtù dei suoi simboli, ma prima di allora, non era conosciuta. (foto *7)
È quindi con piacere, che vi mostro la più antica immagine, sotto forma di disegno, del Fiore della Passione, la PASSIFLORA.
Bosio racconta poi di aver incontrato alcuni missionari di ritorno da oltre oceano, i quali hanno confermato le informazioni relative alla pianta, aggiungendo che nella città di Lima (capitale del Perù), i cittadini avevano l’abitudine di far crescere questo fiore in “ampissimi pergolati”, sotto alla quale stavano “all’ombra et al fresco”. Insieme ai missionari, Bosio ricevette la visita del capitano Giovanni Osorio, che abitava a Bogotà, raccontando che lo stesso fiore si trova anche nella nuova Spagna e in Guatemala, ma con “fronde bianche, pinticchiate di rosso”, a differenza di quelle rappresentate nel disegno sovrastante. (foto *8)
E con questa ultima informazione, posso dire che questo viaggio alla scoperta della prima testimonianza, quantomeno italiana, se non europea, della passiflora è giunto al termine. Ci sono ancora numerosi documenti antichi che sono stati dimenticati, ma che al loro interno contengono informazioni riguardanti le piante officinali e i loro antichi utilizzi.
Le parole di chi ci ha preceduto, la loro conoscenza tramandata in opere che hanno lasciato a noi che viviamo qui oggi, devono essere la base per un futuro più chiaro e luminoso del settore delle piante officinali.
“La storia è testimonianza del passato, luce di verità, vita della memoria, maestra di vita, annunciatrice dei tempi antichi „ CICERONE
Rubrica di Erboristica e Infusi a cura di:
Simone Ambrogio
Studente di Tecniche Erboristiche presso l’Università di Torino
Settore di competenza: piante officinali
Mi interessa il mondo vegetale con tutte le sue sfumature. Mi piacerebbe lavorare in questo settore e contribuire a diffondere le conoscenze a più persone possibili, promuovendo uno stile di vita sano. Sono un musicista e ho aperto da poco una pagina instagram chiamata “Plants in music”, per promuovere la conoscenza delle piante officinali e di tutto ciò che può influenzare il benessere delle persone, utilizzando la musica come strumento per coinvolgere maggiormente le persone.
Scrivimi sulla mia pagina instagram di quali piante vorresti che io ti parlassi nei miei articoli
Pagina Instagram: https://www.instagram.com/simone.ambrogio/